About | Chi sono
Michel Passos Zylberberg
michel@michelpz.com
+41 78 657 37 47
Some clients // Alcuni clienti:
- Guscetti | Architecture Studio
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Renzetti & Partners SA | Architecture & Planning
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Camponovo Architetti & Associati SA | Architecture Studio
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inARCHI sagl | Interior Design
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Verso | Luxury Interiors
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UBS SA | Interior Design
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Sezione della logistica | Switzerland
- FFS (SBB FFS FFS)
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Michelangelo Morandi | Architect
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Garzoni SA | Construction Management
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PUC Interiors | Interior Design
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Kaiser & Partners | Real Estate SA
Photography is a journey that begins as a child. Itajubá-Fortaleza, my father driving my mother and my siblings: three thousand kilometers to run fast behind a car window, an unpretentious camera, faces and views forever on a negative.
Or it is an afternoon in a room of my house, old albums in my hands as if they were football players’ stickers. Instead, they are shots taken somewhen by someone, that you leaf through ravished by their charm and one day, although you do not imagine you will, you look on your computer screen, retouching the ugly signs of the past.
Thus begins a profession that was born as a first instinct: in Brazil, where I grew up and I studied multimedia design at the University of São Paolo, before leaving for a few months for the USA, then longer for Australia, and finally Switzerland, in Canton Tessin since 2006. Goodbyes that become farewells, transformations, new lives and always the same passion that gets stronger and evolves. It goes along with the changes by changing in turn: the film, the digital, then return to the analog again, developing a potential that seemed certainly replaced. In the cellar in Lugano converted to a darkroom, where a collection of experiences and equipment were piling up, I was spending my spare time, stealing it from my public life: two daughters, a job as a graphic designer, my sleeping time shortened to a minimum.
Until I decided. This time I did not leave a place and beloved people. I left a permanent position and what I relied on, finding a way to reinvent myself again – and get inside of my soul. Et voilà, Michel Zylberberg, a photographer. The man who paradoxically flees the lens, but keeps like a treasure his self-portrait at 15, pioneer of something that would later become a sensational trend, called a selfie.
Speciality: everything and nothing, because I don’t like to lock myself into a definition, I hate to impose any boundaries on myself. I seize the day, I exploit the opportunity. Portrait, landscapes, nighttime photographs, every kind of event; and architecture, first of all, which has always fascinated me and which now I try to capture in a picture- it is a balancing act. Subject, approach, personal technique: thus a palace, its inside and outside, becomes a work of art with my signature on it. But it never turns out to be a prison. Many years have passed and I persist in flying free from an insight to the next one, one topic to the following, because photography is not a constraint, it is a whole. It is “to align your mind, your eye, your heart”. It is “a lifestyle”. Cartier-Bresson’s word.
La fotografia è un viaggio che comincia da bambino. Itajubá-Fortaleza, mio padre alla guida, mia madre e i miei fratelli: tremila chilometri che scorrono veloci dietro a un finestrino, una macchinetta priva di pretese, volti e panorami immortalati sopra a un negativo.
Oppure è un pomeriggio in una stanza della casa, fra le mani vecchi album di famiglia come fossero quelli delle figurine. Invece sono scatti pensati da qualcuno, che sfogli rapito e un giorno del futuro, non lo immagini, guarderai sullo schermo di un computer, ritoccando i segni brutti del passato.
Comincia così una professione che nasce come istinto: in Brasile, dove sono cresciuto e ho studiato design multimediale all’università di São Paulo, prima di partire qualche mese per l’America, poi più a lungo per l’Australia, la Svizzera infine, in Canton Ticino dal 2006. Arrivederci che diventano un addio, trasformazioni, nuove vite e sempre lei, la passione che si irrobustisce e al contempo evolve. Accompagna il cambiamento cambiando a sua volta: il rullino, il digitale, poi il ritorno all’analogico, con cui esplorare potenzialità che fino al giorno prima parevan soppiantate. Nella cantina di Lugano convertita in camera oscura, dove accumulare esperienza e un’attrezzatura che pian piano diventava collezione, ricavavo tempo libero rosicchiandolo all’esistenza nota: due figlie, un lavoro come grafico, il tempo del sonno accorciato all’essenziale.
Finché poi ho deciso. Non ho lasciato, questa volta, un luogo e le persone. Ho lasciato un posto fisso e le certezze che fin lì mi avevano condotto, perché trovassi il modo di reinventarmi ancora, e ritrovar così me stesso. Et voilà, Michel Zylberberg, oggi fotografo. Colui che, paradosso del destino, rifugge gli obiettivi, ma conserva con riserbo e un po’ di gelosia un autoscatto col suo viso, precursore in tempi non sospetti di quella che, denominata “selfie”, sarebbe diventata una moda clamorosa.
Specialità: tutte o nessuna, perché non amo rinchiudermi in una definizione, impormi dei confini. Colgo l’attimo, sfrutto l’occasione. Ritratti, paesaggi, notturne, eventi di ogni tipo; l’architettura soprattutto, con il fascino che su di me ha da sempre esercitato e ora provo a riprodurre in un’immagine che è un gioco di equilibri. Soggetto, tecnica, stile: così un edificio, fuori e dentro, diventa opera su cui lasciare la mia firma. Ma mai prigione. Son passati anni e ancora mi ostino a spaziare libero da un’intuizione all’altra, un tema e il successivo, perché la fotografia non è un limite, è un tutto. È “allineare la testa, l’occhio e il cuore”. È “un modo di vivere”. Parola di Cartier-Bresson.